Ode alla Bassa Frequenza

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Non sono preparato riguardo alla materia; o per lo meno, non nella misura in cui vorrei esserlo. Il concetto di Bassa Frequenza, d’altro canto, trova applicazione in più discipline, dalla Fisica all’illuminazione (forse persino illuminotecnica), passando ovviamente per il suono ed altro ancora. Non mi accosto dunque all’argomento con piglio scientifico, bensì tentando di astrarre un minimo, al fine di restituire quello che potrebbe persino rivelarsi uno spunto programmatico per un (futuro? possibile?) Manifesto.

Ci torno ad intervalli regolari su ‘sta questione, e da qualche anno oramai. Di solito questo significa che la situazione mi riguarda; mi riguarda nel senso che vorrei farla più mia poiché dal frequentarla mi torna indietro qualcosa. Allo stato delle cose, il mio anelito a questa Bassa Frequenza tendo ad interpretarlo come l’esigenza a trovare un punto, un’altezza, che mi consenta di recepire meglio ciò a cui mi espongo, stimoli sia interni che esterni. La necessità è perciò quella di una chiarezza, di una nitidezza che un qualunque eccesso mi preclude a priori.

C’è un motivo se all’Ultra low frequency (frequenza ultra bassa) si fa ricorso per la comunicazione coi o dei sottomarini, almeno fino a qualche centinaio di metri di profondità. In ambito televisivo, invece, come illustra bene Alberto Puliafito su Slow News, alla bassa frequenza attiene il fuorionda, prassi che non è garanzia di Verità, ma che, rispetto alla messa in onda, contempla uno statuto di verosimiglianza abbastanza più alto, dato il venire meno dello strato, in tal senso ingombrante, che per forza di cose secerne la diretta.

Spacco il capello in quattro – devo – ma la prima annotazione che faccio a questi termini preliminari è di tipo semantico: basso è termine che implica una presunta mancanza, o a sua volta un eccesso al contrario, se si vuole; quale che sia, di certo non sembra contemplare in sé stesso alcun significato riconducibile a una qualunque forma di equilibrio. Ma l’equilibrio, posto che sia questo l’approdo a cui guardare, nondimeno assume consistenza rispetto a una condizione data – l’equilibrio in senso assoluto è categoria che temo non ci possa appartenere, in quanto riferito a una dimensione altra, fuori dallo Spazio e dal Tempo (l’Eterno?).

Alla luce di tale appunto, se desidero conseguire un dato effetto, è opportuno adottare una strategia che tenga conto dello status quo, così da opporgli una forza contraria il giusto. Se fuori fa -7 gradi, dunque ciò che intendo contrastare è il freddo, la risposta non può che essere calibrata in tal senso: mi copro, possibilmente con capi più spessi e di un’adeguata tipologia, del tessuto più appropriato. Altro è affrontare 37 gradi, la qual cosa comporta una risposta di segno opposto, tarata alla bisogna. Ho scritto un’ovvietà ma ci tengo a procedere in maniera così didascalica per rendere più comprensibile il processo anzitutto a me.

L’ambiente che primariamente bazzico da circa vent’anni ha a che vedere con l’immagine, poche storie. Perché, per cosa e per come: l’immagine in sé e per sé; l’immagine rispetto a un soggetto; l’immagine rispetto al rappresentato; a chi la concepisce, a chi la esegue, a chi è destinata e a chi ne discute insomma. Il mio retaggio da videogiocatore, prima che da critico di qualunque segno, sta a lì a testimoniare non tanto un grado di competenza, quanto quello di apertura, a differenza di chi invece, per formazione, si è confrontato essenzialmente con un tipo solo d’immagine, che faccio rientrare nella fin troppo ampia e (ammetto) claudicante dicitura «dal vivo». Mi riferisco a cinefili e affini? Sì, mi riferisco a loro. Potrei pure tirare in ballo i connoisseur dei settori pittorico e/o scultoreo, ma per questi valgono considerazioni diverse rispetto agli affezionati dell’immagine filmica/documentaria.

Una certa voracità di base mi ha portato a tentare di abbracciare l’immagine in ogni sua forma, persino rispetto ad una sua (im)possibile negazione – in questo, va detto, almeno in parte debitore all’importante lezione di Carmelo Bene. Spingendomi sin dove l’ampiezza delle mie braccia, nonché la loro capacità di presa, me lo consentono, s’intende. Questo per dire che il problema ce l’ho davanti da tempo e ventiquattr’ore su ventiquattro; forse non abbastanza, ma questo, manco a dirlo lo dirà… esatto, il tempo!

Il mio percorso, da un certo momento in avanti – diciamo una dozzina d’anni – ha, direi organicamente, deviato verso una componente più specifica, che è quella inerente alla produzione d’immagini, proprio da un punto di vista tecnico, per dirla volgarmente. Qui è dove dichiaro di essere stato un degno figlio della YouTube generation: non c’è ambiente, virtuale e non, che mi vede più assiduo di questo più o meno dal 2005 ad oggi. C’è chi è stato svezzato dalla TV – ed in parte pure per me è così, dato che nel 2005 ero poco meno che ventenne –, chi dalla radio, chi dai libri, chi dai cosiddetti giornaletti… per me questa cosa qui è YouTube. Il libro è senz’altro il medium che più ha contribuito a cambiarmi, certi passaggi fondamentali scanditi dalla lettura, magari online, ma pur sempre lettura; YouTube ha rappresentato un discreto succedaneo.

La Bassa Frequenza a cui alludo in apertura è il brodo in cui macera questo mezzo nel mezzo ai suoi albori. Sia chiaro, bassa definizione e bassa frequenza, per come la vedo io, riconducono a realtà talvolta sovrapponibili, vero, ma che non possono essere interscambiabili. Lo evidenzio non tanto perché ne sia in tutto e per tutto consapevole, bensì partendo dall’evidenza, che per me è tale, secondo cui esiste, o comunque è assolutamente possibile, avere una bassa frequenza nell’ambito dell’Alta Definizione.

Spero che, giunti in questo frangente del mio argomentare, torni utile, o anche solo comodo, l’aver premesso di non essere spinto da alcuna velleità scientifica – con questo includendo persino la Filosofia. Rifletto solo sulle possibili implicazioni di un fenomeno al quale, gradualmente, mi vedo avvicinarmi, registrando ogni tot di tempo un leggero, appena percettibile, passo in avanti.

Dato che sto procedendo per via negativa, questa sì la più comoda, sgombero il campo da un altro possibile equivoco. Bassa Frequenza non significa nemmeno, anzi, men che meno, minimalismo. Aborro tutto quanto è riconducibile a questo termine, proprio in ragione della sua verosimiglianza, del suo rimandare, in altre parole, a qualcosa di apparentemente sano. Ancora oggi, periodo in cui l’impeto verso il Minimal pare essere almeno un pochino rientrato, o aver perso il mordente di qualche anno fa, molti, quasi tutti, confondono questa via per quella che conduce verso l’essenziale. Sbagliato. È vero il contrario, semmai!

A tal proposito, la Bassa Frequenza è un’onda neutra, che non predilige alcuna possibilità in particolare; di conseguenza si adatta a tutte. Personalmente la trovo corroborante in ambito massimalista, anche, forse soprattutto, per il suo scardinare errate percezioni come quelle schematicamente evocate nel capoverso precedente. All’atto pratico, la Bassa Frequenza applicata all’ambito dell’Immagine funziona come segue: immagini sporche, naturalmente deteriori (non deteriorate post hoc), con poca o addirittura nessuna trasparenza (che è la vera pornografia), il cui oggetto di rappresentazione è invece saturo. Tale saturazione, a propria volta, non deve tuttavia costituire un imperativo assoluto, bensì essere modulata in funzione della maggiore o minore verosimiglianza che si vuole conseguire. Il fine? Sempre lo stesso, ossia il Vero.

Non è tutto ma comunque un punto da cui partire o su cui speculare. Deduco l’importanza della questione anche in rapporto agli effetti: la Bassa Frequenza è in larga parte letta, recepita, vissuta come sciatta, per cui indigesta. Non sorprende. La maggior parte delle persone, in ogni epoca e ad ogni latitudine e longitudine, tende sistematicamente a preferire una suadente ed acquietante menzogna alla Verità, che invece può essere dura. Dura, certo, ma non per questo cattiva. La Verità, prima di ogni altra cosa, è esigente, quindi il suo accesso pesante poiché pretende fatica. Di nuovo, pesante ma non troppo gravoso, o peggio, ad esclusivo appannaggio di pochi. Altro aspetto che conferma la bontà di qualunque sforzo, grande o piccolo, che serve a tale (ri)congiungimento con il Vero sta in questo: che, una volta raggiunto, lo si è raggiunto nella sua interezza. Una Verità al 99% rischia purtroppo di rivelarsi una menzogna non all’1% bensì al 100%, quindi non è Verità.

Lo so, il discorso è complesso. Non tanto perché WordPress dà un rating pessimo alla leggibilità di questo pezzo (lo fa sempre); più che altro mi rendo conto che questa sorta di pensiero che provo a mettere nero su bianco potrebbe mancare di una certa sistematicità, che comunque, va altresì detto, rifuggo in maniera abbastanza convinta e consapevole. Siccome, ad ogni buon conto, la Verità è tale a prescindere dai meriti di chi la espone, anche quando scelgo la via a me più congeniale – dunque più comoda – per trasmetterla, affacciandomi perciò sulla menzogna, ebbene, si guardi al messaggio e non al messaggero. Magari per valutare male e l’uno e l’altro, poco importa. Basta che non si sia approssimativi; l’approssimazione staziona stabilmente sull’Alta Frequenza.

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