Lo streaming che uccide

Sempre più tocca prendere atto che la coesistenza tra i contenuti digitali (oggi per lo più lo sotto forma di streaming, ma non solo) e quelli fisici è impossibile. Chi ci ha creduto partiva dalla supposta buona fede che la scelta sarebbe rimasta, in quanto il feticismo per il pacchettizzato abbastanza condiviso da porre un argine. Ma c’è dell’altro.

Phil Harrison, all’epoca in Sony, quasi vent’anni fa preconizzò il fenomeno, all’epoca chiamato digital delivery: in pratica ti si portava i contenuti direttamente a casa. Tale formula contemplava l’acquisto frazionato, a partire da un supporto quasi vuoto, da “riempire” coi DLC (contenuti scaricabili).

Ricordo giornalisti, italiani e non, magnificare questo schema perché comodo e pratico («basta più pile di giochi che non ho dove mettere»); a chi faceva notare che siffatta praticità implicasse un costo troppo alto, veniva mostrata una lista sul proprio hard disk. Non ci fu verso insomma.

Quegli anni lì tuttavia era comprensibile: l’iPod ed in generale l’MP3 aveva generato un’aspettativa, ossia quella di avere con sé molta roba pur viaggiando leggeri. Che la dinamica si estendesse oltre i confini della portabilità era quasi ovvio ancorché non scontato.

Io stesso acquistai nel 2005 una PSP giapponese d’importazione e, tra le prime cose che feci, ci caricai della musica. Sì, però, con non meno impeto e curiosità, comprai almeno tre/quattro film in UMD. Non ero ancorato al passato dunque; cercavo di prendere quanto di buono pure nell’inedito, là dove possibile.

E non si pensi che il discorso riguardi solo i videogiochi. Di recente Disney ha amputato Il braccio violento della legge (1971) sulla propria piattaforma. I motivi non m’interessano: è un crimine, punto. Dato che non l’avevo ancora, mi sono procurato il DVD correndo, avendo peraltro premura che l’edizione fosse stata pubblicata prima dell’acquisizione di 20th Century Studios, nel 2019.

Tornando ai nostri amati videogiochi, Nintendo e Sony negli ultimi tre anni hanno chiuso interi store online relativi a librerie di console tutto sommato recenti (Nintendo 3DS, PlayStation 3 e PlayStation Vita), privando non so quanti utenti di titoli per cui avevano pagato ma il cui accesso da allora è definitivamente precluso. Microsoft, bontà sua, si sta attrezzando per Xbox 360.

L’aspetto assurdo è che il retrogaming, già settore di nicchia, sta divenendo pratica ancora più inavvicinabile anche per via dello scalping, che non sarà in toto riconducibile a streaming et similia, ma che dopo l’uscita dell’executive di Ubisoft c’è da credere farà registrare un ulteriore peggioramento.

Siamo al redde rationem. Cinema e Videogiochi, in balia della Finanza terminale, come industrie, non è che cambieranno… cesseranno di esistere. Si faranno film e si faranno giochi, certo, ma sarà inconcepibile pensarli integri nell’ambito di questo sistema.

Non so se, come sostengono alcuni, più ottimisti del sottoscritto, il consumatore abbia davvero tutto questo potere per invertire la rotta. Ciò su cui ho pochi dubbi è in capo alla pericolosità di uno scenario in cui la multinazionale di turno decide come e cosa sono titolato a consumare, per giunta facendomi pagare per tale servizio.

Lo vediamo già. Nessun grado di naïveté può giustificare la negazione di quella che è sempre più un’evidenza. Ed il bello è che l’essere consapevoli non si limita al buon vecchio follow the money, dato che i rischi vanno ben oltre l’ingrassare le già piene tasche di qualche grosso funzionario aziendale.

Come dicevano i latini, «ex malo bonum». Da un simile passaggio, di per sé nefasto, potrebbero venire fuori nuove strutture, in cui i media di cui non sopra non solo sopravviveranno ma evolveranno sul serio. Il Male però resta Male, e non deve esistere altro modo per definirlo.

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