Nella tana dei lupi 2 – Pantera, commento al film di Christian Gudegast

den-of-thieves-2

Sequel del primo film, uscito 2018, Nella tana dei lupi 2 – che in originale suona più in linea con l’allure del progetto, ossia Den of Thieves Pantera – ce l’ha finalmente fatta ad arrivare a noi, sebbene a distanza di sette anni, per l’appunto. Periodo complesso, chiaro, di cui l’industria ha risentito particolarmente, e che ha reso l’impresa di Gudegast e soci ancora più ardua. Un progetto, il prequel, su cui, da questa parte della barricata, a cavallo tra audience e addetti ai lavori, non si scommetteva granché; al contrario, chi scrive ebbe invece la ventura di schiaffarlo nello sparuto gruppo di titoli che, mea sponte, definii “nuovi classici”, ciclo oramai chiuso per sopraggiunta scadenza del decennio scorso, e in cui, per dovere di cronaca, rientrano e Walk Among the Tombstones (2014) e Run All Night (2015) – nel primo di questi due, nello specifico, il protagonista è uno a cui Butler suppongo piace o piacerà somigliare, almeno nella parabola delle produzione a cui prender parte, quel Liam Neeson che proprio nella decade di riferimento si è tanto speso per certo genere, con una caterva d’interpretazioni, alcune delle quali trascurabili, altre più interessanti.

Trovo persino corroborante che, con questa seconda iterazione, Christian Gudegast non sia seduto sugli allori del primo, che un discreto successo l’ha avuto, optando invece per altro. Cosa? Ridotto ai minimi termini, se Nella tana dei lupi (di cui scrissi illo tempore su Cineblog) c’è il Mann di Heat, qui, volendo indulgere in questo giochino tanto caro a certa critica, c’è forse più il Friedkin di The French Connection (1971), con un rimando, senz’altro meno esplicito, al Jacques Deray di Borsalino (1970) – eco per lo più inconsapevole o anche solo involontaria, oserei dire geografica, ma si sa come vanno queste cose.

L’appiglio, per l’appunto, è la location: non Marsiglia ma una Nizza che ci proietta comunque in Costa Azzurra, a un tiro di schioppo insomma. E già qui emerge l’anima del progetto, un poliziesco moderno, da cassetta, ma che cerca di presentarsi il meno “pulito” possibile, in barba ai fighetti che magari avrebbero auspicato la più blasonata Montecarlo. A ‘sto giro Nick O’Brien (Gerard Butler) si spinge ancora più in là, lui che, quanto a sporcarsi le mani, ça va sans dire, non ha remora alcuna. Senza costruirci sopra chissà quale premessa – giusto una carta in tribunale che lo vede alle prese col suo matrimonio andato al macero, nonché un diverbio non particolarmente fortunato con una escort – Gudegast lo scaraventa in Francia, a prendere per i fondelli i colleghi transalpini per la loro cucina e stanare l’amico Donnie (O’Shea Jackson Jr.), che ha appena fatto un colpo all’aeroporto di Anversa ed è in procinto di colpire ancora, ovviamente a Nizza.

Inutile cercare introspezione, zavorra di per sé gravosa, ancor più in un contesto del genere. Qui, tuttavia, s’impone già un ragionamento, ancorché abbozzato. A forza di ridimensionare ad ogni piè sospinto un progetto come Nella tana dei lupi, si rischia, non tanto di riservare un cattivo servizio al film, quanto di non riuscire ad inquadrarlo. A chi infatti ha visto il primo, apprezzandolo o meno, non sfuggirà il cambio di registro, l’operazione attraverso cui si batte un sentiero che, per quanto familiare, si muove lungo un altro territorio. Il genere è quello, insomma… sono le modalità che cambiano. Ecco, dove rilevo lo spirito del prequel, e lo avverto intatto, sta proprio nella capacità di conservare quel giusto sprezzo verso certo tipo di produzioni, se non altro nel modo di rapportarvisi; essere consapevoli del proprio posto, senza alcun timore reverenziale né verso il mainstream più spinto, così come non temere il giudizio dei parrucconi che, magari, potrebbero dirsi contrariati a fronte di certi accenti un attimino più ambiziosi.

Poi sì, certo, malgrado la già contenuta venatura action de Nella tana dei lupi appaia in questo seguito ancora meno “ritmata”, s’ha da tenere presente che, qualora con questo progetto si fosse voluto allisciare il pelo del pubblico e basta, già nel 2018, non si sarebbe certo optato per lo sforo delle due ore (due e venti il primo, due e dieci il secondo). Di solito quando si cerca scientificamente di accontentare tutti, beh, si consegue il naturale corollario di non accontentare nessuno; Gudegast invece dà l’impressione di aver fatto i film che voleva fare, seppur nel solco di un ambito piuttosto codificato, finendo col poter aspirare quantomeno ad accontentarne abbastanza.

Piace proprio questo Butler in versione poliziotto sopra le righe, anarchico, che sa essere più criminale dei criminali stessi – altro tema tutt’altro che inedito, men che meno sovversivo, ma rispetto a cui la presenza e fisicità di Butler ci consente di affondare meglio i denti. Svetta a tal punto Nick, ché effettivamente i comprimari finiscono col risentirne, compreso Donnie; eppure, nell’economia del tutto, ha un suo perché il peso così netto del personaggio di Butler, indisciplinato sì ma per davvero, nel senso di credibile, una verosimiglianza interna al racconto che è per forza di cose preclusa a tutto il resto del cast. Cast che stavolta incarna un mondo totalmente “altro” rispetto a quanto visto in precedenza, tra sopravvissuti della guerra in Iugoslavia e Mafia siciliana, crossover che implica qualche rischio in sé e per sé, ché trasportare il poliziotto di un’unità speciale di Los Angeles lì in mezzo così immediato non è di certo.

Di nuovo, tutto ruota attorno a una rapina, che, nemmeno troppo paradossalmente, finisce col costituire la parte meno interessante. Nella tana dei lupi 2, così come l’operazione che l’ha preceduto, tende infatti ancora a muoversi assecondando un certo schema, ossia offrirsi al pubblico come un heist-movie senza chissà quali pretese, salvo poi ricamare in quei frangenti apparentemente “di contorno”, quando invece la portata del prodotto è possibile coglierla proprio lì. Un sottile, oltre che sano, tentativo di depistaggio, che non toglie alcunché ma nemmeno approfondisce, va detto; senonché conferisce spessore, poco, quanto serve per non lasciarsi sviare da una certa bidimensionalità, connaturata all’idea su cui si fonda l’intera impalcatura.

A domanda precisa, dunque, risponderei che Nella tana dei lupi, in quel sempre più distante 2018, aveva forse una marcia in più, ma che pure Pantera si difende discretamente. Sul sequel gravavano aspettative che il primo non aveva, e per operazioni del genere non è affatto semplice. Apprezzabile, peraltro, come già evidenziato, che Gudegast si aggrappi a riferimenti diversi, cercando di rimanere fedele alla linea. Un’idea rispetto alla quale per molti, me ne rendo conto, potrebbe non valer granché la pena prendersi la briga di agitarsi più di tanto. Nondimeno, in quest’era così avara di impeti significativi (non parliamo di exploit), è piacevole guardare, se non con stima, almeno con rispetto ad esiti del genere. In attesa del già apparecchiato terzo episodio.

Post Correlati