Stagioni su stagioni a macinare patenti di tifo. Scene indecorose, interrotte da una cavalcata assurda, in cui quell’Inter ebbe responsabilità gravi, sportivamente parlando, in quel trimestre pazzerello che fu febbraio/maggio 2022. Prima e dopo il nulla per l’AC Milan. O meglio, la speculazione. Finanziaria, giornalistica, pseudo-intellettuale.
Ricordo un mio tweet alla fine del primo tempo di quel Derby in cui «si girò Giroud»: affranto, sfatto, livoroso. Non ne potevo più. Oggi tutti ricordano quella stagione per quelle ultime sette partite e rotte, ma nessuno (o quasi) ha il nerbo di ammettere cosa fummo fino al 5 febbraio 2022: una squadra in remissione, che viveva la coda lunga della stagione migliore che ho visto fare al Milan dal 2011 a questa parte, ossia la precedente, la 2020/21 — almeno finché Zlatan non decise di fare il valletto a Sanremo ed il gruppo accusò un crollo verticale, certificato dai derby di Coppa Italia, persi maluccio.
Non dimentico. Da tifoso quale sono io medesimo, non di rado mi faccio governare dalla pancia. Mi pare anzi sia l’unico spartito adeguato per chi si dà a certe cose. Elliott probabilmente non aveva intenzione di formalizzare il passaggio a RedBird, che sia reale o solo sulla carta (anche questo non si sa, checché ne dicano i documenti, secondo me compilati a regola d’arte). Gli esplose questo Scudetto in faccia e toccò forse accelerare; boh… io ricordo Singer junior fare il gesto con la mano dal pullman scoperto, indicando chiaramente «io resto qui». E magari è così.
Vado avanti con un balzo felino, ché di rievocare le due stagioni successive, di cui una è ancora in corso, non ho agio. Mi ripugna non solo e non tanto il risultato, tipo il quinto posto post-Scudetto, ma il modo in cui tali risultati sono stati acquisiti — vediamo come finisce questo di campionato, ma secondo o quarto, ai fini di ciò che vado adombrando, non ha alcuna rilevanza. Fine aprile, il filone più sanguinoso di tutti: quattro match in cui il Milan è fuori dalla Coppa europea di Serie B, rischia di perdere male con un Sassuolo sull’orlo della retrocessione, e poi, beh, insomma, il resto è Storia, con la S maiuscola.
Ci sono segni inequivocabili. Sullo stesso campo dove ci laureammo campioni d’Italia, con la stessa disinvoltura con cui archiviasti la pratica, in pochi minuti, oggi il Sassuolo sassaiola quasi quasi ti liquida. Ne fai tre di gol pure tu, come quella volta, ma a ‘sto giro è pareggio. Le due partite, a distanza di due anni, mi sembrano beffardamente speculari: ancora una volta, come spesso accade nella Storia di questo club glorioso, è il cielo che parla.
Ho scritto tanto, forse persino a sproposito, sul carisma di chi oggi gestisce a amministra la squadra che amo. Mi urta tornarci. Disapprovo quasi tutto, questo lo registro. Collaborazionisti di varia risma hanno fatto credere alla tifoseria, una parte almeno, che al dio sostenibilità vada sacrificato tutto, anche i primogeniti; che lo sport conta ma fino a un certo punto; che voler vincere è tabù, quasi una bestemmia nella civiltà dei revisori contabili. Non mi ci accapiglio più; oramai li si conosce e li si lascia servire i loro padroni, con lo zelo che meritano i loro deboli caratteri.
Ora siamo a un nuovo bivio, l’ennesimo. C’è tutto apparecchiato per riannodare i fili, quelli recisi dall’insipienza di un gruppo di squali senz’anima. Conte e l’AC Milan sono fatti per stare insieme, qui ed ora, e di questo ne sono fermamente convinto. Per quanto mi riguarda, so pure che un matrimonio del genere, che s’ha da fare (lo vuole lo cielo), porterebbe senz’altro i suoi frutti, e sarebbero ottimi. Su un piano orizzontale, in ogni caso si tratterebbe della soluzione migliore poiché, al netto di quanto sia umanamente possibile pianificare, fin troppi elementi lasciano presagire che con un allenatore del genere minimizzi le possibilità d’insuccesso in una misura che non è riscontrabile con alcun altro collega. Al momento, aprile 2024, è così.
La Gazzetta di oggi, a mio parere su imbeccata precisa di qualcuno in dirigenza (Furlani, ovvio), lascia trapelare che con Lopetegui sia praticamente fatta. Non mi soffermo sul personaggio, che mi trasmette una tristezza unica, né sul nickname, che, italianizzato, suona tipo come il cagasotto, o il più aulico er caghetta (in politica ve ne fu uno famoso con questo soprannome). Su X spopola da qualche giorno l’hashtag #ContealMilan, ed oramai è certo che in via Aldo Rossi i social, specie quello di Elonio, li leggano eccome. Serve dunque, per motivi che non possiamo facilmente delineare, l’Operazione Sterzata di sumiana memoria, sebbene operi al contrario rispetto a quanto paventato: l’uomo forte di cui al discorso di Mauro Suma diventa Furlani, o comunque chi in dirigenza vuole affermarsi, complessato com’è, chiarendo, tramite i suoi amici pennivendoli, che uomini forti al Milan non ne verranno.
Da qui le uscite dei Moretto e dei Bianchin, gente che a mio avviso le cose le sa in quanto informata dei fatti. L’hashtag allora muta, diventando #NOPEtegui. Nottata insonne. Apro X e trovo l’inferno: gente che sbraita, urla, corre da una parte all’altra della stanza strappandosi le vesti e, una volta nudi, tirandosi i capelli. Basta poco a generare un’onda d’urto notevole. Dell’articolo apparso sulla rosea ho letto qualche virgolettato, roba da Topolino, per cui lascio perdere. È palese si tratti di una velina, di un comunicato stampa camuffato e imbellettato, spacciato per giornalismo. Siamo adusi a certe operazioni.
E, come sistematicamente accade, la tifoseria, in larga parte, abbocca. Non importa infatti che Lopetegui sia davvero o meno in procinto di trasferirsi a Milano; il solo suggerirlo muta gli animi e rende preferibile altro. Quest’altro è qualcosa che, fino a 12 ore prima, quella stessa parte di tifoseria, non avrebbe nemmeno preso in considerazione: «se devi prendere Lopetegui, allora tanto vale…». Per conseguire quel «allora tanto vale» alla dirigenza è bastato davvero poco, che però per loro vale tanto.
Capisco la frustrazione, che è la mia. Tutto dettato dall’amore, forse fin troppo spropositato, verso questi colori. Ma non smette di fare specie il modo in cui ‘sta gente riesce a pilotare e il consenso e il dissenso, insomma, l’opinione, con una così disarmante facilità. La stessa società la cui comunicazione, da anni a questa parte, è deficitaria, se non per mostrarsi più sul pezzo di altri in merito a faccende socialmente rilevanti, quando si tratta di turlupinare il tifo ed incanalarne gli umori, fa un lavoro egregio. L’efficacia della comunicazione dell’AC Milan nell’era post-Berlusconi, che io chiamo era Elliott, funziona da sempre così: ab intra, non ab extra.
Dicessero quello che gli pare fuori. Ci ingiuriassero, ci ridimensionassero, trattassero a pesci in faccia la tifoseria. Il nostro consiste nel tenere buoni i nostri clienti, loro, i tifosi, quelli a cui vogliamo spillare il più possibile finché non realizziamo ciò che davvero ci sta a cuore, che sia lo stadio o altro. Fino a che non giudicheremmo conclusa la nostra esperienza e, consci di poter monetizzare al massimo delle possibilità di quest’asset, ce ne libereremo e buonanotte ai suonatori. È così. Di come il Milan venga percepito fuori, dal 2016 in poi, sembra non essere interessato alcuno di coloro che l’hanno gestito pro tempore. Anche a fronte delle teorie più complottiste, delle offese e le prese per il culo più viscide, nessuno dei proprietari, anche per vie traverse, ha mai posto rimedio, né ha seriamente manifestato l’intenzione di volerlo fare.
Quando invece si tratta di uscirsene con speech motivazionali, aforismi da quattro soldi e dichiarazioni da leader, il tizio impomatato che si dice essere proprietario dell’AC Milan si è prodotto in performance nelle quali, da quel che capisco, consiste il suo mestiere. Pratica fine a sé stessa quella di fare la tara alle svariate dichiarazioni di Cardinale, uno che, pubblicamente, ho come l’impressione non riuscirebbe a dire la verità nemmeno se lo desiderasse con tutto sé stesso. Ci vorrebbe un tomo a parte per illustrare come anche lui sia vittima, ma dovremmo soffermarci su questioni filosofiche, antropologiche, guardare all’uomo prima che all’affarista, ed io francamente non ne ho voglia né tempo — ammesso poi di esserne in grado.
Non so se, come alcuni dicono, a questa gente basta affamarla. Che significa poi? Sono il primo ad essere orientato a non rinnovare l’abbonamento nel caso in cui la scelta dell’allenatore si rivelasse sbagliatissima a priori, ma non m’illudo che costoro cambino registro anche qualora altri diecimila abbonati si regolassero allo stesso modo. La Curva la trovo parimenti ininfluente. Che sia riconducibile all’oggettiva impotenza del tifo organizzato dinanzi a certe forze, o che qualcuno in alto debba, obtorto collo, venire a patti con la società, non so fino a che punto potrebbe incidere una ferma presa di posizione degli ultrà. Che fare dunque?
Qui mi areno. Mi viene quasi da piangere, perché davvero non lo so. Non ho mai smesso di pensare, ed è l’intima convinzione che continuo a coltivare, che l’AC Milan, non so quando non so come, tornerà ad essere grande. Ma grande davvero. L’attualità che si fa attualismo è una peste dalla quale tento di mettermi al riparo, quantunque a volte certi sintomi ahimè si manifestino malgrado tutte le precauzioni. Internamente mi si fa strada una frattura analoga a quella verificatasi nel 2012 o giù di lì. Da una parte il desiderio, che è quasi un imperativo morale, di voler stare vicino alla squadra, esserci a dispetto di tutto e tutti, sulla scorta di quanto Nick Hornby scriveva in Febbre a 90, ossia che, se non sono allo stadio, è come se la mia squadra non avesse giocato; dall’altra l’insostenibilità, quella vera, di un contesto in cui dei ricchi e ammanicati usurpatori sabotano da dentro la mia squadra, operazione alla quale non intendo in alcun modo partecipare, addirittura promuovendola coi miei pochi danari.
Il bello è che, salvo sorprese, mi sa che fino a fine maggio si scriverà tutto e il contrario di tutto. In cuor mio, senza alcun romanticismo, continuo a sperare che persino questi loschi figuri che amministrano e gestiscono il mio Milan si passino una mano sulla coscienza (che non hanno) ed operino in maniera se non altro più furba. Sì perché, in tutta onestà, in questa fase non mi pare che siano esclusivamente logiche commerciali/economiche a frenare la risalita: c’è il dato umano, i limiti caratteriali di alcuni personaggi che non vogliono mollare l’osso e che, come sempre coi mediocri, sarebbero capaci di trascinare in basso tutti gli altri insieme a loro qualora messi all’angolo.
Dati i valzer e l’avanspettacolo, resto cauto. Qualcosa sta accadendo e si sta muovendo; ciò che fa impazzire è che, dalla nostra prospettiva, non è possibile individuare la direzione. Da qui a un mese, o giù di lì, potremmo essere in paradiso oppure all’inferno, e questo, lo ammetto, genera quel pizzico di adrenalina che, malgrado tutto, alimenta un minimo entusiasmo. Quale che sarà l’esito, il paradiso ci spetta, mentre l’inferno ci compete. Qualsiasi cosa ciascuno di noi deciderà di fare rispetto allo status quo, l’AC Milan è già attrezzato per affrontare quel che l’attende. Tutto il resto è contingenza.