C’è una pratica, tra le tante, caduta in disuso. Tempo fa, quando s’intratteneva una corrispondenza, anche virtuale, si usava dire che si era amici di penna. Personalmente preferisco il termine compagno, poiché mi pare più calzante e aderente al tipo di relazione che in concreto passa tra me e le persone in questione.
In pratica si tratta di gente che magari ho pure avuto modo di conoscere de visu, altri invece che non ho mai incontrato di persona, tutti comunque accomunati dal fatto che ci si senta solo tramite missive (nel nostro caso mail), condividendo dunque in premessa un certo modo di vedere le cose. Serro questa introduzione per andare al dunque. Una di queste mie conoscenze mi ha appena fatto avere la lettera che segue; ho chiesto il permesso di pubblicarla su questo spazio, tanto è talmente appartato che non cambierà granché. Dopo avermi suggerito di non essere così spietato nei riguardi del mio sito, m’ha dato il suo permesso. Ecco qua.
Ho letto che al funerale del Cavaliere non c’era Paolo Maldini. Strano. Su instagram ha scritto un bel messaggio e comunque sapevo che i rapporti fossero tutt’altro che incrinati. Ok, si parla del fatto che, dopo aver lasciato il Calcio, Galliani prospettò all’oramai ex-capitano un posto da figurina all’interno del Club, al che Paolo si rintanò in sé stesso, producendosi in sporadiche sortite pubbliche, in occasione delle quali si diceva contrariato dalla parabola del Milan.
Non so. Leggo pure di Dejan (Savicevic, ndr.), che invece pare si sia fatto in auto 1600 chilometri da Podgorica pur di essere in Duomo in tempo per le esequie. Anche lui ha detto belle cose su Berlusconi, rimproverandogli persino di essere stato fin troppo indulgente con lui. Il genio è così, me lo hai scritto tu stesso in altre occasioni – non avevi il poster in camera da piccolo?
Senti, sai che io non sto sui social perché lì è tutto uno sbraitare e tirare scemi gli altri e sé stessi, ma questa situazione mi ha dato da pensare. Sai anche che sono costretto ad ingoiare il rospo molto più spesso di quanto vorrei, ma oramai al punto in cui sono non mi posso mica tirare indietro. Una ventina d’anni fa, quando cominciai a lavorare, mi dicevo che non sarei stato mai sotto qualcuno per troppo tempo, ma quando entri in certi circoli come fai poi a uscirne? Dall’oggi al domani mi scoprii aziendalista, ed il bello è che, malgrado certe derive a cui proprio non riesco ad abituarmi, per il resto la cosa non mi spiace affatto.
Però, nei miei venti, mi dicevo che non importava chi, come, cosa, ma in un team non ce l’avrei mai fatta a muovermi. Non è il mio elemento, avrei finito col fare esplodere tutto e rendermi insopportabile. Forse è accaduto in ogni caso, non saprei dire; tanto non me lo direbbero comunque, dato che la maggior parte delle persone con cui mi rapporto quasi quotidianamente al lavoro mi sta sotto. Tornando a Maldini, ammesso che io c’abbia capito qualcosa, credo di capirlo.
Magari non ha davvero avuto modo, era seriamente impossibilitato a tornare a Milano da Miami, dov’è a giocare a padel (concedimi la frecciata, so che ti contraria questa irriverenza nei confronti di certi personaggi); non ho dubbi che i suoi avvocati d’ufficio avranno già esposto la difesa, vertente sul fatto che Paolo, non presentadosi, ha voluto evitare di accentrare troppo su di sé l’attenzione. Ad una castroneria del genere rispondo evocando il Nanni Moretti di Ecce bombo (il link l’ho aggiunto io, ndr.). Ripeto, avrà avuto degli impedimenti, ma Maldini un po’ lo si conosce, e questa sua assenza, per quanto rumorosa, mi pare in linea col carattere.
Niente niente che la mia idea, per cui lui si senta al di sopra di tutti, compreso del Club di cui lui è diretta emanazione, abbia un fondamento? Lo sai, io a malapena simpatizzo per (ometto il nome della squadra onde evitare riferimenti, ndr.), giusto perché ci sono nato e perché staziona non nelle periferie ma proprio nelle campagne del calcio che conta. Ma questa cosa qui mi lascia perplesso. Te lo scrissi o no la scorsa estate che gli era stata data una polpetta avvelenata? Se anche la stagione fosse andata diversamente, sono persuaso che il vostro nuovo proprietario l’avrebbe fatto fuori comunque. Ci lavoro con questa tipologia di professionisti, sebbene a livelli più modesti, e so che per loro esiste il commitment verso la linea imposta dall’altro: gli exploit, i colpi di coda, spesso non pagano nemmeno quando conducono a buoni risultati.
Non lo so se e in cosa abbia sbagliato, ma tu stesso mi scrivesti che in più di un’occasione Maldini ha tirato per il bavero gli americani. Ecco, è molto difficile che certi peccati vengano assolti in quei contesti lì. Devo credere che Maldini non l’avesse capito dopo quanto accaduto a Boban? Beh, se è così, la responsabilità sarebbe sua e sua soltanto. Di mezzo c’è un investimento che entro cinque anni dovrà fruttare almeno il doppio, e qualcuno può davvero pensare che dinanzi a certe logiche personaggi del genere si facciano scrupoli per la piazza? Quella è una religione che non ammette idoli, roba che nemmeno in piena Cristianità: o l’idolo serve il dio di chi sta al vertice della piramide, dunque si converte, oppure viene scomunicato e scacciato per sempre dalla comunità. Tertium non datur.
Maldini non lo immagino così sprovveduto, per cui debbo dedurre che la tara sia per lo più caratteriale. E qui lo capisco. Quando avevo vent’anni e imponevo al me quarantenne di essere una voce indipendente, autonoma, speravo probabilmente che di lì a poco sarei diventato così indispensabile da portermelo permettere, oppure lo davo per scontato proprio. La verità è che la febbre passò presto e mi resi conto che fuori da un certo ambiente non sarei mai stato nessuno, perciò son stato al gioco. E ti dico, si tratta di una dolce sconfitta, perché per me la realtà specifica in cui opero è più che una famiglia, i loro obiettivi a priori la mia ambizione. Per me non riesco più ad augurare alcunché; per i miei figli, senz’altro, ma in cuor mio spero sempre che il loro futuro possa venire edificato sui successi della realtà a cui mi sono dato, ben più grande dei piccoli sogni di un ragazzino indisponente.
Paolo, come lo chiami tu, questo salto temo non l’abbia fatto. I suoi successi non saranno mai del tutto condivisi, e a questo punto temo non vi sia modo di tornare indietro. Da divinità minore qual è, ha deciso che è meglio regnare all’inferno che servire in paradiso. Non discuto, sai quanto mal tolleri i moralisti. Anzi, ti dico di più, lo sento molto vicino. Questa forma di superbia che si traduce in uno stato di ribellione pressoché costante è affare per pochi, e per poterselo permettere bisogna avere la pellaccia. Non si parli di libertà, ché la libertà non esiste; si tratta solo di scegliere il proprio padrone.
Lui ha scelto non tanto sé stesso, ma il ruolo che la vita lo ha chiamato ad interpretare. Un ruolo che, lo ammetto, il me ventenne avrebbe fatto carte false per amore di ricoprirlo; menomale essere stato a quel tempo così giovane e stupido, perché se avessi individuato una figura del genere mi sarei senz’altro trovato a vendere l’anima al diavolo. Ma di me si ricorderà giusto qualche parente, i miei figli mi auguro, e le poche persone a cui ho fatto del bene nei miei oltre vent’anni di carriera. Paolo Maldini sta altrove, su un pianeta che non conosco e che mi toglie il respiro anche solo ragionarci. Lì riescono a starci in pochi e non sarò certo io a stabilire se tutto ciò sia un dono o una disgrazia. Da lì però, di questo tendo ad esserne alquanto persuaso, si vede tutto, o comunque cose che alla maggioranza sono precluse a priori.
Forse, e dico forse, se persone come me, aliene a pianeti così inospitabili, avessero modo anche solo di affacciarsi verso certi scorci, senza morirne istantaneamente, giudicherebbero la posizione di Maldini con molta più benevolenza. Ma siccome mi trovo da un’altra parte, l’unico posto che posso occupare, allora ti dico che mai e poi mai baratterei la Storia mia e di una famiglia acquisita con una dorata solitudine per pochissimi. All’idea di privarmi della possibilità del buono che avrei potuto fare ne morirei.