Bardo, la cronaca falsa di alcune verità, commento al film di Alejandro González Iñárritu

Un testo quasi del tutto privo di quel quid che avrebbe senz’altro reso BARDO più interessante di quanto alla fine non riesca ad essere, ossia la poesia. Iñárritu oramai sembra si stia sempre più specializzando nel sostituire l’afflato poetico, al quale evidentemente gli ultimi suoi lavori tendono, con componenti vicarie, come qualche trovata sopra le righe ancorché corroborante e dei bei colpi d’occhio.

Però davvero, si avverte troppo la mancanza di quell’elemento lì, che non avrebbe avuto senso solo nell’ottica di dare spessore, come fosse un ingrediente in mezzo agli altri, bensì sarebbe stato opportuno che l’intera impalcatura fosse stata pensata in questi termini. BARDO probabilmente conferma che a Iñárritu mancano queste note, o quantomeno non gli sono congeniali.

Allora il problema è a monte, e gli auguro d’individuare da qui in avanti il contesto che più gli si addice. Per esempio, cimentarsi in una commedia tout court, ché quello spartito mi pare invece essere nelle sue corde.

Anche perché la prosa di questo regista ha un che di universalista, persino quando, come in BARDO, sembra anch’egli ripiegare sull’autobiografia, condita di quel briciolo di etnografia quale sottotesto. Ecco, malgrado questo tuttavia Iñárritu non scade per un istante nel provincialismo, la sua una visione senz’altro segnata da anni di apprendistato a Hollywood, da una prospettiva che nondimeno gli ha consentito di maturare in tal senso un approccio di respiro ampio.

E magari non avrà inteso veicolare chissà quali messaggi, poiché appunto questa esperienza è pensata più come una giostra alla quale lasciarsi andare, ma tocca altresì ammettere che buona parte dei pensieri espressi, oltre ad apparire quasi interamente scollati rispetto all’idea centrale su cui fa perno il tutto, risultano pure alquanto inconsistenti — il battibecco tra Silverio e Luis sulla terrazza è per certi aspetti emblematico: scenario impeccabile, luce perfetta… le considerazioni che i due si vomitano l’un l’altro lasciano invece il tempo che trovano.

Che ci siano cineasti che osino per me è sempre una buona notizia, per cui la progressione per accumulo di suggestioni più che di scene non mi contraria a priori, anzi; tanto più che sul finire viene persino data una giustificazione all’incedere sconnesso della narrazione. S’ha però da essere più equilibrati e non dare per scontato che l’assenza di linearità, o i tentativi di smarcarsi da certa impostazione, si traduca sempre, automaticamente in un esito notevole.

Il tanto vituperato Malick da THE TREE OF LIFE a SONG TO SONG trovò in questa estrema libertà un sistema tutto suo, non sempre centrato, ma che, laddove c’azzecca, c’azzecca per davvero, come nessun altro. Per dire, le vette toccate da KNIGHT OF CUPS si rivelano a tutt’oggi inarrivabili, eppure degli echi di quei modi lì qui si avvertono eccome. Senonché gli interrogativi, se non i tormenti del protagonista, ci sfiorano a malapena, e questa rimane una costante dall’inizio ai titoli di coda.

Bardo, la cronaca falsa di alcune verità (Bardo, falsa crónica de unas cuantas verdades, Messico, 2022), di Alejandro González Iñárritu. Su Netflix dal 16 novembre 2022.

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