Unrest, commento al film di Cyril Schäublin

«Siate brevi, i vostri minuti sono preziosi come i nostri». Questa lapidaria iscrizione informativa funge se vogliamo da programma ad Unrest. Già qui emerge infatti quel sottile umorismo di cui apparentemente il lavoro di Cyril Schäublin sembra essere del tutto privo, mentre, al contrario, uno dei suoi punti di forza risiede proprio in questa venatura comica e arguta al contempo che l’attraversa.

Di tutta prima la parabola parrebbe essere quella di Pyotr Kropotkin (Alexei Evstratov), un anarchico russo recatosi in Svizzera per mappare il territorio, nello specifico una valle che si trova nella parte francese, a due passi dal Massiccio del Giura. Siamo sul finire del diciannovesimo secolo, periodo di profonda instabilità, come d’altronde suggerisce il titolo stesso, sebbene credo che si riferisca ad altro. Stanno già maturando le condizioni che porteranno il Vecchio Continente ad affrontare la Grande Guerra, quel clima di nouveau temps che immagino in quel momento si respirasse un po’ dovunque in Europa; uno s’immagina perciò un contesto in subbuglio, qualcosa di movimentato insomma, ma sta qui la prima felice intuizione della Schäublin, già in scrittura.

Il 1872, o giù di lì, in Svizzera, è contesto irregimentato come pochi. Il primo Paese europeo ad aver implementato un sistema di Governo che solo secoli dopo altri Paesi avrebbero adottato, eppure, con una placidità disarmante, quanto mostrato in Unrest è un piccolo inferno in Terra. Per capire a cosa si riduca l’afflato democratico e civilizzato di una nazione per l’epoca “avanzata”, basti la capsula che fotografa con il giusto grado d’ironia certe dinamiche: un oste appende la nuova cartina geografica dell’Europa secondo i dettami anarchici; dopodiché chiede l’attenzione dei clienti, non la ottiene, se la prende urlando, e con calma olimpica indice un’estemporanea votazione ad alzata di mano… la maggioranza ha deciso, tutto può tornare come due minuti prima, come se niente fosse accaduto.

La tentazione di passare in rassegna alcune scene a mio parere chiave è forte, ma mi limiterò all’ultima, se non altro perché mi fa gioco rispetto a quanto scrivo più avanti. Pyotr deve spedire delle missive, costretto peraltro a leggerle ad alta voce poiché la sua grafia non convince l’operatrice. Bene, sembra tutto fatto, finché la donna dietro al bancone non chiede a quale ora vadano spediti i messaggi. Pyotr non capisce, giustamente, al che la spiegazione che gli viene data è la seguente: in quella cittadina esistono quattro orari… quello delle Poste, quello della Fabbrica, quello del Municipio e quello della Chiesa. Siamo dinanzi ai quattro pilastri della comunità; una comunità però frazionata, che funziona a diverse velocità.

Che Unrest non sia però un film politico va spiegato, o quantomeno ci si prova. L’area in questione risulta a forte concentrazione di anarchici, una roccaforte proprio, tanto che un delegato del Regno d’Italia fa notare la cosa a colui che presiede il Gran Consiglio svizzero, con un pelo di scandalo. L’interlocutore tesse una laconica lode della libertà d’espressione, l’italiano fa finta di accettarla, dopodiché si scambiano quella che pare essere una mazzetta e tutto finisce lì. Non si tratta di svilire certi processi buttandola in caciara, facendo leva sulla pancia; in Unrest non vi sono discorsi da bar, quantunque dall’uomo comune, per così dire, recuperi il buon senso.

Ad essere motteggiata, semmai, è la proverbiale neutralità svizzera, quel suo porsi al di là di moti e tensioni che contraddistinguono le varie epoche, dunque cadendo in una sorta di utopia ancora più assurda, forse addirittura l’utopia delle utopie: il controllo sul Tempo. Sebbene mediante i modi del documentario, la Schäublin astrae quanto serve la passione per gli orologi, restituendocela quasi come una patologia. Patologia però non dell’individuo, o comunque non solo, né principalmente; se di un’ossessione si tratta, ebbene, questa opera anzitutto a livello sociale. A un’anziana operaia viene sottratta la paga di un’ora per via del “fuso orario” tra le Poste e la Fabbrica; ad altri due viene impedito di votare e di bazzicare la locanda perché non in regola col pagamento delle tasse; un’altra tizia ancora, anch’essa su con l’età, si ritrova a dover scontare undici giorni di reclusione sempre per mancato adempimento fiscale. E rispetto a tutto ciò nessuno ha alcunché da obiettare; non per paura, né perché piace.

Eppure Unrest non si risolve nello scontato affresco di denuncia, anzi, per certi versi appare persino un po’ cinico, non tanto rispetto ad un’ideologia in particolare, bensì a tutte. Non so se un simile atteggiamento, sempre che chi scrive c’abbia visto giusto, sia di matrice culturale. Potrebbe. Il punto è che il registro così realistico, l’andamento chirurgico di quanto racconta la Schäublin, inducono a credere che quanto riportato, ancorché risistemato, non rappresenti qualcosa di così alieno dalla realtà dei fatti. I fatti del tempo, certo, che però sono gli stessi che hanno contribuito a plasmare quelli odierni. Tocca perciò andare oltre la scorza, l’asciuttezza generale e un ritmo volutamente frenato. Non sempre è coi botti che un cambio di paradigma va accostato, specie se la rivoluzione che ci s’immagina essere sul punto di deflagrare non si compie, non fino in fondo almeno.

Tocca perciò andare oltre la scorza, l’asciuttezza generale e un ritmo volutamente frenato. Non sempre è coi botti che un cambio di paradigma va accostato, specie se la rivoluzione che ci s’immagina essere sul punto di deflagrare non si compie, non fino in fondo almeno. L’ultimo segmento, quando una giovane operaia, che ha avuto a cuore la causa dell’Anarchia come forma di Governo – in sé stesso un simpatico quantunque pericoloso paradosso – descrive minuziosamente il proprio lavoro, lei che si occupa di smanettare con dei minuscoli ingranaggi d’orologio, ed alla fine chiede a Pyotr se a quel punto gli sia tutto più chiaro, al russo non resta che rispondere: «credo di sì». L’ennesima chiosa beffarda di un film intelligente, ancor di più se lo s’immagina in qualche modo espressione dell’ambiente su cui si focalizza. La logica del Potere è implacabile, sempre; tanto vale tentare di sorridere di certa sua ineludibile idiozia.

Unrest (Unrueh, Svizzera, 2022), di Cyril Schäublin. In Concorso Lungometraggi al 40° Torino Film Festival.

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