Mollo tutto e apro un chiringuito, l’Imbruttito parla sardo – Commento

Chi è il Milanese Imbruttito? Un’esasperazione, una macchietta… cosa? Il fenomeno si è fatto strada in particolar modo su YouTube a suo d’interviste stravaganti in cui Luca Abbrescia si prende gioco di giovani e meno giovani sottoponendoli a domande di cultura generale e attualità. Epicentro del progetto è però il personaggio interpretato da Germano Lanzoni, voce storica dell’AC Milan, annunciatore allo stadio delle formazioni; il suo Imbruttito è un imprenditore milanese totalmente inserito nella City, con cui è in simbiosi, nei ritmi, nelle dinamiche, nonché nel suo spregio di tutto ciò che non è avanti (un tempo si sarebbe detto out, termine che credo oramai varrebbe a chi lo pronunciasse l’appellativo di giargiana).

A fronte della crescita registrata, come già avvenuto ad altre realtà emerse nella rete, lo sbarco in sala sembra quasi inevitabile: dai Jackal ai Pills, passando per personaggi come Frank Matano, si tratta di storie diverse, con retaggi non sempre sovrapponibili – lo stesso Paolo Ruffini, che prima di Fuga di cervelli (2013) fece gavetta in televisione, da presentatore, comincia con i doppiaggi dello storico gruppo livornese del Nido del Cuculo, i cui lavori si diffusero oltre la dimensione locale, in tutta Italia, proprio grazie alla rete nella seconda metà degli anni ’10.

E poi c’è il capostipite, quello che a parere di chi scrive resta uno degli ultimi geni della comicità italica, quantunque il suo humor è davvero poco italiano, espressione di una formazione tutt’altro che “accademica” ma nemmeno presa dalla tanto inflazionata “strada”. Parlo di Maccio Capatonda, Marcello Macchia, il quale ha fatto il percorso inverso: da Mai dire gol alla rete, è in quest’ultimo ambiente che ha trovato il suo elemento, dapprima con quei trailer che a tutt’oggi rappresentano una delle cose migliori prodotte dalla nostra TV, per poi continuare a fare il verso ad altri media, siano questi telegiornali o serie televisive. Italiano medio (2015) e Omicidio all’italiana (2017), titoli che entrambi contemplano la specifica di un’espressione non geografica ma culturale, sono entrambi due esempi fortunati di questa trasmigrazione sul grande schermo, col primo dei due ancora un po’ imbrigliato sia nel personaggio e nel format, fin troppo riverente verso la macchina cinema, specie a livello produttivo. Il secondo, invece, come scrissi a suo tempo su Cineblog, si sostanzia già in una più convinta presa di distanza da certi meccanismi, finendo con l’essere di fatto più riuscito, un prodotto interessante che non rappresenta forse di per sé lo zenit ma certamente la giusta direzione verso quell’obiettivo lì.

Italiano medio e Omicidio all’italiana, titoli che entrambi contemplano la specifica di un’espressione non geografica ma culturale, sono entrambi due esempi fortunati di questa trasmigrazione sul grande schermo.

Qui al collettivo de Il Terzo Segreto di Satira, che ha curato sceneggiatura e regia di Mollo tutto e apro un chiringuito, è toccato infondere quella consistenza che di solito manca ad operazioni del genere, ossia conferire una dignità tale da consentire a un film di reggersi sulle proprie gambe, mantenendo al tempo stesso lo spirito della fonte. Il risultato è un’opera leggera ma piacevole (non che le due cose siano necessariamente in opposizione), che tende a smitizzare un profilo così rigido qual è quello dell’Imbruttito, il cui mantra – le due F… Fica e Fatturato – è in realtà a sua volta solo marketing: non c’è nulla di più importante del guadagno per questo soldato da Capitalismo terminale, del macinare soldi, non per sé ma per l’azienda. La prima F è perciò contorno.

La prima parte del film è infatti tutto un reiterare, confermare quanto già sappiamo su di lui, magari a beneficio di chi invece non conosce il profilo; va infatti tenuto conto che l’approdo al cinema va certamente considerato nell’ottica dell’espansione di un brand più che altro, forse un modo per intercettare un pubblico più ampio, non ancora raggiunto, oltre al puntare a far cassa già solo con gli affezionati. La smitizzazione di cui al capoverso precedente, tuttavia, costituisce un po’ il perno su cui poggia l’impalcatura narrativa: staccare infatti l’Imbruttito dal suo ambiente per catapultarlo in un posto totalmente altro, per poi cercare di capire fino a che punto, a condizioni simili, le sue skill possano ancora tornare utili.

Un divergere tuttavia apparente, perché la natura della bestia rimane quella; d’altronde, come si dice? Chi nasce tondo non muore quadrato. Qui però urge un appunto. L’essere infatti maturato in un contesto diverso, lontano dall’asfissiante consorteria romana, ha permesso a Mollo tutto e apro un chiringuito di non cadere in certi mortificanti tropi della commedia nostrana da qualche anno a questa parte. La leggerezza sopra evocata, infatti, non è quasi in nessun caso fuori tono, senza eccessi sguaiati insomma, musichette sciocchine e incalzanti. Alla simpatica sboccataggine del protagonista, infatti, viene opposto un ritratto tutto sommato garbato ma non per questo stupidamente disincantato. Si cerca di venire incontro al grande pubblico, certo, ma li si alliscia il pelo il giusto, quel tanto che basta per portarlo dalla propria parte senza però “costringerlo”, con quel briciolo di distacco, fatemelo dire, squisitamente milanese.

La leggerezza sopra evocata, infatti, non è quasi in nessun caso fuori tono, senza eccessi sguaiati insomma, musichette sciocchine e incalzanti.

E poi, cosa non da poco, lato casting le tessere sono pressoché tutte al posto giusto. Ricordo che non si tratta di uno studio scrupoloso o anche solo realistico sull’ambiente che ci circonda, né un’indagine volta a restituirci la complessità di certi settori. Perciò è chiaro che i pastori interpretati dai fratelli Manca tendano a confermare un immaginario che con la realtà dei fatti ha forse poco o nulla a che vedere oramai; così come l’Elon Musk italiano interpretato da Paolo Calabresi non può che essere una bizzarra controfigura del riccastro che opera in ambito tecnologico ma che al contempo si presenta come una sorta di guru, sensibile alle sfide del nostro tempo. Certi accenti, nondimeno, sembrano puntare verso una consapevolezza che smorza certe reinterpretazioni, di cui ci si serve non tanto per mettere su un discorso ma per strappare qualche sorriso.

Al nano, il figlio dell’imbruttito, viene regalata per il compleanno una Partita IVA iraniana, che il giovane accetta solo perché la tassazione da quelle parti è piuttosto bassa. Sono stilizzazioni che fanno sorridere, senza mai prendersi davvero sul serio, soprattutto nel sottoporci una morale che a conti fatti manca, anzi. L’happy ending è infatti lieto solo in modo apparente, forse addirittura ambiguo: la spirale risulta non a caso ininterrotta, quasi che dal ciclo non ci si possa sottrarre. Al che i sorrisi e le feste, sotto la specie di trionfo liberatorio, non rappresenterebbero altro che la sformata percezione della vittima, che ha oramai perso ogni cognizione di realtà. Ancora più inquietante se si pensa che Mollo tutto e apro un chiringuito si chiude proprio su una nota d’attualità spinta, che passa dalla tecnologia; denuncia velata, in extremis, somministrataci con la giovialità perversa di questa nostra folle epoca. Tuttavia credo che gli autori prenderebbero le distanze da questa mia ultima considerazione, e farebbero bene. Però ecco, a posteriori sono convinto ci si farà maggiormente caso a certe cose.

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